Il DUCE volle le SS Italiane con licenza di UCCIDERE

L'esistenza di una milizia armata di SS italiane fu caldeggiata da Mussolini fin dal suo arrivo in Germania, a metà settembre del 1943, dopo la sua liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso. Mussolini illustrò il suo progetto al quartier generale dell'esercito tedesco, a Rastenburg, direttamente ad Hitler che lo sottoscrisse delegando Himmler per l'attuazione.

La costituzione ufficiale avvenne col Decreto 446 del 30 giugno 1944.

Tra i diciotto e i ventimila furono in totale i volontari italiani - la cifra esatta non si è mai riusciti a definirla con certezza - che si posero al totale servizio della Germania. Nel quadro composito delle milizie e delle forze armate della Rsi le SS italiche costituirono in questo contesto un corpo a parte. Fu il generale di brigata delle Waffen-SS Peter Hansen ad assumerne per primo la direzione operativa, dipendendo a sua volta dal generale Karl Wolff, comandante supremo delle SS e della polizia tedesca nell'Italia occupata.

Le SS italiane furono in conclusione composte da militari che accettarono di agire al comando di ufficiali germanici. Tutti i gradi più importanti erano tedeschi, i nomi dei volontari venivano inviati a Berlino e gli stessi ordini per gli ufficiali superiori erano dati in lingua germanica. Le divise, a differenza delle SS tedesche, avranno inizialmente mostrine rosse e solo in seguito ( almeno per alcuni reparti) nere. I gradi erano ordinati secondo la gerarchia tedesca. Sui berretti e sugli elmetti il "teschio d'argento" e le due SS stilizzate. Unici segni distintivi: un'aquila su fascio littorio romano e, verso la fine del 1944, il simbolo delle tre frecce incrociate racchiuse in un cerchio da portare sulla mostrina destra.

Le SS italiane si proclamarono apertamente ammiratrici del nazismo. Impressionante la formula utilizzata per il giuramento: «…sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler supremo comandante dell'esercito tedesco».

Va anche detto che nelle SS italiane in realtà non tutti si arruolarono volontariamente. Diversi i casi di adesione forzata tra i prigionieri messi di fronte all'alternativa "o con noi o al muro". Non isolati furono i casi di diserzione, a volte tragicamente conclusisi con la fucilazione.

Il caso di volontari non tedeschi nelle SS non fu un fenomeno solo italiano. Nel corso del secondo conflitto mondiale le Waffen-SS (le SS addestrate al combattimento) giunsero a contare circa 900.000 armati, articolate in 38 divisioni. Accanto ai reparti tedeschi si costituirono molte altre unità di diversa provenienza: di fiamminghi e valloni, di francesi, di olandesi, di norvegesi, di ungheresi, di albanesi, di croati, di lettoni, di estoni e di ucraini, di bulgari. Una divisione (la 13. sima), interamente composta da mussulmani bosniaci, fu impiegata in Jugoslavia contro i partigiani di Tito. Si allestirono anche battaglioni di cosacchi russi, di svizzeri, di finlandesi e di turchi. Un battaglione di calmucchi e turkestani operò anche in Italia, nel Piemonte e in Lombardia, in funzione antipartigiana, distinguendosi per ferocia e determinazione.

Una sorta di esercito internazionale, cresciuto all'ombra della svastica, che ancora oggi continua ad alimentare le fantasie ed i miti dei neonazisti di oggi.

Ogni regione ebbe tante Brigate Nere quante erano le provincie. In più fu costituito un gruppo di Brigate Nere Mobili. Ogni Brigata prese il nome di un caduto per la causa del Fascismo.

A Parma fu Virginio Gavazzeni (Parma)